Il documento della Banca d’Italia sul miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni

Vi segnalo un documento elaborato dall’Ufficio Studi della Banca d’Italia nel quale si analizzano i problemi legati al miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni italiane. Il documento è rilevante anche alla luce della recente direttiva approvata dall’Unione Europea. Invece della risposte banali e deludenti che sono arrivate da molte forze politiche, Banca d’Italia si sforza di indicare soluzioni praticabili che possono incidere positivamente sulla qualità della vita e sul portafoglio dei cittadini italiani, senza sfasciare i conti dello Stato.

Il documento rilasciato dalla Banca d’Italia affronta il tema del miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni italiane, tenendo conto anche dei vincoli introdotti dalla direttiva europea che è stata approvata recentemente.

Il documento è molto dettagliato e non può essere sintetizzato in poche righe. Qui mi limiterò a mettere in evidenza solo alcuni concetti fondamentali, rimandando chi fosse interessato ad approfondire l’argomento alla lettura del documento originale.

Il punto fondamentale da cui partire è quello dei costi degli interventi che si dovranno realizzare per soddisfare gli obiettivi di risparmio energetico indicati dall’Unione Europea. In particolare, bisognerà valutare se tale processo potrà essere sostenuto da incentivi finanziari erogati dallo Stato, senza sfasciare definitivamente le esangui finanze pubbliche.

Il documento della Banca d’Italia affronta questo tema evitando accuratamente qualsiasi polemica di stampo ideologico e cercando di indicare soluzioni praticabili, secondo lo stile concreto ed asciutto che è tipico dei documenti che escono da Palazzo Koch.

In Italia ci sono circa 36 milioni di abitazioni ed il 73% delle famiglie vive in abitazioni di proprietà. Il 17% delle famiglie vive in una casa affittata, mentre il restante 10% usufruisce di abitazioni in usufrutto gratuito o ad altro titolo.

La prima osservazione importante è che non sappiamo esattamente quale sia l’esatta situazione energetica delle case degli italiani. Possiamo farcene un’idea approssimativa osservando la distribuzione delle classi energetiche attribuite agli attestati di prestazione energetica (APE) che sono stati rilasciati fino ad oggi. Si tratta dei documenti che devono essere esibiti quando si registra un contratto di affitto o di vendita oppure quando si eseguono lavori di ristrutturazione.

Talvolta tendiamo a considerare gli APE come un fastidioso balzello a carico dei proprietari, ma in realtà – soprattutto se è stato stilato da un professionista serio e preparato – si tratta di un documento prezioso per valutare i costi di gestione energetica di un’abitazione. Il recente aumento dei prezzi energetici e la necessità sempre più spinta di provvedere non solo al riscaldamento invernale, ma anche al raffrescamento estivo hanno determinato una differenza molto significativa tra i costi di gestione energetica di appartamenti di dimensioni simili, ma con classe energetica diversa.

Fino a qualche anno fa, quando si affittava o si acquistava una abitazione quasi nessuno si preoccupava della classe energetica dell’immobile. Oggi le cose sono profondamente cambiate e la classe energetica incide sempre di più sul prezzo di affitto o vendita.

Sulla base delle APE rilasciate fino ad oggi (vedi figura qui sotto) oltre la metà delle abitazioni italiane ricade nelle 2 classi energetiche peggiori (F e G).

Va detto inoltre che milioni di famiglie italiane vivono in abitazioni che non sono mai state certificate dal punto di vista energetico. Difficilmente qualcuno sborsa i soldi necessari per ottenere l’APE semplicemente per la curiosità di sapere quale sia la classe energetica della sua abitazione. Chi abita nello stesso appartamento da molti anni (o l’ha ricevuto in eredità) non ha mai avuto la necessità di farlo certificare. Considerata la vetustà del patrimonio immobiliare italiano è probabile che la situazione reale sia addirittura peggiore rispetto a quella evidenziata dalla distribuzione degli APE:

Distribuzione per classe energetica degli attestati di prestazione energetica censiti dal catasto nazionale delle abitazioni gestito dall’ENEA (SIAPE). A tale catasto non aderiscono il Trentino e l’Alto Adige che hanno strutture separate, mentre le Regioni Sardegna e Campania non hanno ancora inserito i loro dati

Notiamo che il grafico (aggiornato al 22 gennaio 2024) tiene conto già di gran parte dei lavori di miglioramento energetico finanziati nel corso degli ultimi anni per mezzo del cosiddetto Superbonus. Senza tali interventi, la situazione sarebbe stata ancora più critica.

Le carenze a livello conoscitivo ci fanno capire quanto siano incerte le cifre che vengono stimate quando si parla degli investimenti che dovranno essere fatti nei prossimi anni per migliorare le prestazioni energetiche delle abitazioni italiane.

Il documento della Banca d’Italia si pone una domanda essenziale: perché ci siamo ridotti in questa situazione? Le motivazioni sono più d’una:

  1. Migliorare l’efficienza energetica di una abitazione porta benefici economici nel medio-lungo periodo, ma comporta costi immediati che non tutti sono in grado di sostenere (soprattutto coloro che hanno redditi più bassi).
  2. Per molte persone è difficile fare un calcolo realistico del rapporto costi-benefici di un intervento di risparmio energetico. Senza una adeguata informazione non sono in grado di valutare quali siano gli effettivi ritorni economici di cui potranno godere.
  3. A questo si aggiunge l’azione di mercato dei venditori di energie fossili che non si preoccupano del riscaldamento globale, ma pensano soltanto a massimizzare i loro utili e sono molto riluttanti quando devono sostenere concrete politiche di risparmio energetico.
  4. Solo una piccola frazione di cittadini “entusiasti” è sensibile ai problemi climatici ed è disposta ad investire per contrastare gli effetti del riscaldamento globale. Servono quindi azioni di sostegno pubblico che spingano la cittadinanza all’azione.

Per superare tali limiti, il documento propone una serie di iniziative. In particolare:

  1. A differenza di quanto successo con il Superbonus, si dovrebbe pensare ad una politica di incentivazione modulata in base alle fasce di reddito dei cittadini. Non ha senso avere regole uguali per tutti perché altrimenti si rischia – come accaduto con il Superbonus – che i fondi elargiti dallo Stato finiscano prioritariamente nelle tasche dei più ricchi.
  2. Bisognerà pensare ad iniziative specifiche per ristrutturare le case abitate dalla fascia economicamente più debole della popolazione (che – tra l’altro – spesso non è neppure proprietaria dell’abitazione in cui abita). Specifici programmi dovranno essere fatti – in particolare – per sostenere la riqualificazione energetica dell’edilizia pubblica.
  3. Per i cittadini più ricchi – in grado di sostenere senza particolari problemi le spese per il miglioramento energetico delle loro abitazioni – dovranno essere attuati progetti di informazione adeguati, spiegando il ritorno economico degli investimenti, eventualmente grazie anche ad incentivi pubblici che comunque non dovranno arrivare ai livelli eccessivi del Superbonus.
  4. Per l’ampia fascia di “ex classe media“, troppo “ricca” per poter disporre di una casa popolare, ma non abbastanza ricca per poter sostenere le spese di miglioramento energetico della propria abitazione dovranno essere studiati interventi su misura. Si pensa – in particolare – al coinvolgimento di aziende anche private che intervengano finanziando i lavori. L’importo anticipato verrà restituito dai proprietari negli anni successivi pagando un importo uguale al risparmio sulla spesa energetica ottenuto grazie all’intervento di riqualificazione dell’immobile. Per i proprietari delle abitazioni non ci saranno esborsi immediati, ma i benefici economici prodotti dal miglioramento energetico diventeranno tangibili solo dopo qualche anno. Questa è la proposta certamente più innovativa e potrebbe funzionare soprattutto se fosse fatta propria dai fornitori di energia che potrebbero stipulare con i loro clienti contratti pluriennali reciprocamente vantaggiosi.
  5. L’altro punto messo in evidenza riguarda la necessità di semplificare le procedure burocratiche rendendo possibile per i cittadini l’accesso ad un “punto unico” in grado di fornire informazioni qualificate e sbrigare tutte le pratiche necessarie.
  6. Viene infine sottolineata la necessità di vigilare sulla competenza degli operatori che si dedicheranno alle operazioni di miglioramento energetico per evitare – come successo con il Superbonus – la proliferazione di imprese improvvisate e non adeguatamente qualificate

Qualcuno potrebbe definire le indicazioni di Banca d’Italia come un “vasto programma“. In realtà si tratta solo di puro buon senso, applicato con metodo e rigore, senza scendere in quelle derive di stampo populista tanto care a molti nostri politici.

Riusciremo a seguire i buoni consigli della Banca d’Italia? Questo lo scopriremo soltanto osservando ciò che succederà nel corso dei prossimi anni.

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