Idrogeno al posto del metano: una prospettiva realistica oppure puro greenwashing?

Chi propone di continuare ad investire massicciamente nel gas naturale sostiene che – appena possibile – il gas naturale potrebbe essere sostituto dall’idrogeno e che le infrastrutture costruite per il metano potrebbero essere facilmente adattate alle nuove tecnologie energetiche basate sull’idrogeno. Taluni sostengono che l’idea non sia affatto realistica e la bollano come un vero e proprio esempio di greenwashing. Chi ha ragione?

Da molti anni si sta discutendo dell’idrogeno (possibilmente “verde“) proposto come un vettore energetico in grado di contribuire efficacemente ai processi di decarbonizzazione delle nostre economie. Fino a poco tempo fa le applicazioni reali dell’idrogeno sono state limitate a realtà di dimensione essenzialmente prototipale. Negli ultimi tempi si stanno moltiplicando i segnali di un rinnovato interesse per l’idrogeno che vanno aldilà del suo uso tutto sommato marginale quando viene mescolato in piccole quantità (tipicamente meno del 10%) al metano per ridurre lievemente le emissioni di CO2 delle caldaie o dei motori alimentati a gas naturale.

L’utilizzo senz’altro più interessante dell’idrogeno – in combinazione con le celle a combustibile – è quello per alimentare mezzi di trasporto elettrici. Quando si ha a che fare con autobus, camion o piccoli treni l’accoppiata idrogeno/celle-a-combustibile rappresenta una alternativa molto valida rispetto alle batterie al litio.

Come ho discusso in un post precedente, il problema dell’idrogeno è quello di produrlo con un metodo che sia climaticamente accettabile. Il metodo industriale oggi più utilizzato parte proprio dai combustibili fossili ed è caratterizzato da una forte emissione di anidride carbonica. Questo tipo di idrogeno che comunemente viene definito “grigio” non rappresenta una vera alternativa rispetto ai combustibili fossili, né dal punto di vista dei costi, né da quello delle emissioni di CO2.

Quando si parla di sostituire il metano con l’idrogeno bisogna stare molto attenti al metodo di produzione adottato per ricavare l’idrogeno. Molte aziende petrolifere stanno valutando di portare nel ricco Occidente idrogeno “pulito“, lasciando le emissioni nei Paesi produttori di metano o carbone.

In realtà, dal punto di vista del riscaldamento globale, è assolutamente ininfluente spostare le emissioni di CO2 da un Paese all’altro. I gas rilasciati nell’atmosfera si rimescolano rapidamente a causa dei venti e l’effetto sul clima del Pianeta è sempre lo stesso, indipendentemente da dove è avvenuta l’emissione.

Qualcuno un po’ più attento al clima ha proposto di intrappolare l’anidride carbonica formata durante i processi di conversione del metano in idrogeno iniettandola in profondità nei pozzi di estrazione del metano esauriti. In questo modo si parla di idrogeno “blu“. La cosa potrebbe funzionare se si trovano siti geologicamente idonei e se il processo di sequestro dell’anidride carbonica viene rigorosamente controllato.

Purtroppo – soprattutto in taluni Paesi – le compagnie che lavorano il metano potrebbero solo fare finta di sequestrare la CO2 prodotta, assicurandosi l’impunità grazie a qualche generosa mazzetta versata nelle tasche di controllori compiacenti. Il problema c’è e non è un caso se recentemente è stato avviato lo sviluppo di satelliti artificiali in grado di monitorare dallo spazio grosse emissioni di anidride carbonica.

La soluzione migliore sarebbe senz’altro quella di generare energia elettrica con impianti fotovoltaici e di utilizzarla per produrre idrogeno “verde” tramite elettrolizzatori. In questo caso l’idrogeno non avrebbe alcuna impronta carbonica (a parte quella delle emissioni legate al processo di costruzione e di smaltimento finale degli impianti) e potrebbe essere utilizzato come un efficace veicolo energetico ad impatto ambientale e climatico pressoché nullo.

I Paesi del Nord Africa, caratterizzati da ampi spazi ad alto tasso di insolazione, potrebbero ospitare grandi impianti per la produzione di idrogeno “verde” e, secondo alcune stime, potrebbero generare quantità di idrogeno sufficienti per soddisfare una parte significativa delle richieste di energia pulita provenienti dell’Europa.

A questo punto uno potrebbe ingenuamente credere che gli attuali metanodotti che collegano il Nord Africa con l’Europa (principalmente con l’Italia) possano consentire di trasportare efficacemente l’idrogeno dagli impianti di produzione fino agli utilizzatori finali.

Purtroppo non è così. Il cambio metano/idrogeno non è affatto semplice perché l’idrogeno – a causa della sua struttura molecolare – ha un comportamento molto diverso rispetto al metano quando entra in contatto con la superficie dell’acciaio o di altri metalli.

Il problema è quello della diffusione attraverso la struttura del metallo che, oltre a produrre microscopiche perdite di gas, causa un progressivo infragilimento della struttura metallica aumentando il rischio di rotture e di altri gravi incidenti. Per ovviare a questo problema bisogna ricoprire le superfici metalliche che entrano a contatto con l’idrogeno con una cosiddetta “barriera antidiffusione” che impedisce all’idrogeno di penetrare all’interno del metallo.

I metanodotti più moderni sono costruiti usando materiali dotati di tale barriera, ma gli impianti meno recenti non ce l’hanno e non possono quindi essere riconvertiti tout court dal trasporto del metano a quello dell’idrogeno. Un discorso analogo si potrebbe fare per le stazioni di pompaggio intermedio e per i terminali dei gasdotti.

Secondo stime ufficiose, circa il 70% della rete attualmente gestita da SNAM rete gas potrebbe essere adattata al trasporto dell’idrogeno, mentre il restante 30% dovrebbe essere sostanzialmente rifatto. Non sono investimenti da poco e vanno attentamente valutati prima di parlare con troppa disinvoltura del passaggio dal metano all’idrogeno.

Riassumendo, prima di dare per scontato un facile passaggio dal metano all’idrogeno bisogna valutare attentamente i costi reali di tale trasformazione e la qualità (potremmo dire il “colore“) dell’idrogeno che si intende produrre. In assenza di approfondite verifiche, c’è il rischio di dare fiducia a sfacciate operazioni di greenwashing tese solo ad estendere nel tempo gli ingenti guadagni dei produttori di combustibili fossili.

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