Dobbiamo proteggerci di più oppure è meglio lasciar correre il virus?

Ci sono visioni diverse rispetto alla strategia ottimale per affrontare questa fase della pandemia. Ora che tutti hanno “conosciuto” il virus è meglio lasciarlo circolare liberamente o dobbiamo continuare a proteggerci dal contagio? Chi ha ragione?

In queste calde giornate di luglio imperversa la polemica tra “esperti” di opposte fazioni che si confrontano sulle migliori strategie da adottare per gestire al meglio l’ennesima ondata pandemica. Molto grossolanamente, ci sono due scuole di pensiero:

  1. C’è chi sostiene che l’attuale alto livello dei contagi sia il frutto del comportamento troppo disinvolto di molti che hanno abbandonato qualsiasi precauzione e non rispettano più nessuna delle regole che possono aiutarci a contenere la circolazione virale. L’attuale alta circolazione virale comporterà un aumento della pressione sulle strutture ospedaliere con grave danno per tutta la comunità, anche per chi non si ammala di Covid-19.
  2. La visione alternativa ritiene che l’alta circolazione virale registrata durante le ultime settimane non sia un grosso problema e che le misure restrittive ancora in vigore (ad esempio, la quarantena per i positivi) vadano ulteriormente allentate. In altre parole, rimarranno a casa solo coloro che stanno veramente male, esattamente come succede per la maggior parte delle altre malattie. Tutti gli altri potranno circolare liberamente. I contagi registrati in questo periodo contribuiranno ad alzare le difese immunitarie della popolazione, funzionando più o meno come la somministrazione di massa di una dose aggiuntiva di vaccino. Questo migliorerà le difese della popolazione in previsione della probabile ondata pandemica attesa per il prossimo autunno.

Di fronte a posizioni così divergenti sorge spontanea la domanda: chi ha ragione? In realtà, nessuna delle posizioni è basata su modelli scientifici rigorosi. Ad oggi non abbiamo strumenti adeguati per prevedere il futuro a medio-lungo termine della pandemia che – lo ricordo – è un fenomeno “complesso” (nel senso fisico del termine) e, in quanto tale, dipende – in modo non lineare – da una molteplicità di fattori.

Ci sono tuttavia alcuni punti fermi che ormai dovremmo avere imparato e che possono essere utili per capire quale potrebbe essere il nostro futuro rapporto con la Covid-19. Vediamone alcuni:

  • Le vaccinazioni ed i precedenti contagi hanno “allenato” il nostro sistema immunitario rispetto agli attacchi del virus SARS-CoV-2, che – a differenza di quanto accadeva all’inizio della pandemia – non è più un virus sconosciuto per la maggior parte della popolazione. Questo fatto, assieme al miglioramento (ancorché non definitivo) delle cure mediche, ha ridotto fortemente l’incidenza percentuale dei casi più gravi e dei decessi.
  • C’è chi sostiene che le varianti virali attualmente in circolazione siano più contagiose, ma molto meno aggressive rispetto al virus originale di Wuhan. La questione della aggressività del virus potrebbe essere oggetto di ampie discussioni perché non è facile fare una misura oggettiva di tale parametro. Ciò che noi vediamo è la percentuale di contagiati che sviluppano forme gravi della malattia e questa percentuale – come ricordato precedentemente – è decisamente più bassa rispetto alle fasi iniziali della pandemia. Tuttavia non sappiamo se tale differenza sia da ascrivere integralmente ad una minore aggressività del virus oppure se ci sia un contributo legato all’aumento delle difese immunitarie della popolazione.
  • Il problema delle (poche) persone fragili che hanno rifiutato il vaccino si è drasticamente ridotto perché – purtroppo – una parte significativa di loro è già morta (ricordo che, a parità di condizioni generali di salute, la probabilità di decesso dei non vaccinati è decisamente superiore rispetto ai vaccinati). I più fortunati sono guariti dalla Covid-19 ed in questo modo hanno acquisito un certo grado di protezione, almeno rispetto ai contagi più gravi.
  • Nella popolazione generale le difese immunitarie acquisite grazie alle vaccinazioni o a precedenti contagi danno una protezione di brevissimo periodo (1-2 mesi) rispetto alla possibilità di contrarre un nuovo contagio. Parliamo naturalmente di un contagio anche lieve. Se osserviamo solo i contagi più gravi (quelli che comportano un ricovero ospedaliero e, in taluni casi, anche un decesso) la protezione offerta dalle vaccinazioni o dalle precedenti infezioni è più duratura (4-6 mesi e forse più). Al momento, non è chiaro se il calo osservato nel livello di protezione per i casi più gravi sia dovuto esclusivamente al naturale calo di anticorpi, oppure se ci sia anche un effetto legato alle rapide mutazioni del virus dominante.
  • A livello individuale, tutto dipende dallo stato del sistema immunitario. Ci sono persone che hanno un sistema immunitario più debole (a causa dell’età o della presenza di altre malattie) e sono a più elevato pericolo di gravi complicanze. Anche se sono state regolarmente vaccinate, queste persone non acquisiscono un livello sufficiente di protezione e, poiché non possono vivere sotto una “campana di vetro“, se il virus circola molto è più probabile che si ammalino e finiscano in ospedale.
  • Non esistono semplici misure di laboratorio atte a valutare il grado il grado di funzionamento del sistema immunitario di un singolo individuo ed – in particolare – il tipo di risposta che è in grado di fornire in caso di contagio con SARS-CoV-2. Per tutte le persone statisticamente a rischio (anziani o giovani con particolari patologie) è comunque importante fare tutti i richiami vaccinali consigliati. In caso di contagio, devono chiedere al loro medico di famiglia di essere valutate per il trattamento precoce con farmaci antivirali. È di fondamentale importanza che tali farmaci siano somministrati al più presto possibile, prima che insorgano eventuali complicanze.
  • Al momento, il ceppo virale dominante è costituito da Omicron BA.4 e BA.5. Non è detto che durante il prossimo autunno questo sarà ancora il virus in circolazione. È probabile che appaiano nuovi ceppi virali e questo limita l’efficacia dei vaccini che non possono essere rapidamente aggiornati rispetto ai nuovi ceppi virali dominanti. Alla fine di quest’anno, la protezione indotta da un contagio estivo con BA.4 o BA.5 potrebbe rivelarsi non particolarmente efficace.
  • Per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri, dovremmo distinguere tra coloro che sono ricoverati a causa delle complicanze generate dalla Covid-19 e le altre persone – generalmente asintomatiche o paucisintomatiche – che vanno in ospedale a causa di altre patologie e vengono scoperte positive durante i controlli fatti al momento del ricovero. Queste persone rappresentano un problema dal punto di vista organizzativo perché non possono essere tenute a contatto con i pazienti non Covid, ma la presenza del virus non rappresenta, in generale, un motivo di aggravamento delle loro condizioni di salute. Quando il virus circola molto, la frazione dei positivi trovati al momento del ricovero cresce, ma non ci sono numeri ufficiali che ci permettano di valutare quale sia la percentuale dei pazienti Covid che rientrano in tale categoria. Una stima molta grossolana ci dice che, attualmente, circa la metà dei pazienti Covid potrebbe rientrare nella categoria dai “positivi a loro insaputa“, ma senza dati ufficiali è difficile fare valutazioni più accurate.

Sulla base delle precedenti argomentazioni ritengo di potere affermare che, in un mondo ideale, potremmo lasciare il virus libero di circolare tra la popolazione, a patto di riuscire a proteggere adeguatamente anziani e fragili. Sono loro che rischiano la vita e che riempiono le corsie degli ospedali di pazienti Covid ad alto rischio.

A mio avviso, ci sono ampi margini di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda il trattamento precoce con i farmaci antivirali. Poi molto dipende anche dal comportamento dei singoli individui e dalle scelte che ciascuno di noi riterrà di fare.

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